#1
-di lei non
so più nulla- era una stanza che mi coccolava
il sogno
indietro che spingeva la memoria
quando
dall’alto nessun sole mi reggeva il passo
c’è una
costante sensazione che parte da tutte le pareti
in contrasto
con gli aneddoti sulle libertà
liberamente
tratti dall’esperienza degli artisti
penso alle
stupide interviste che intrappolano la mente
ai sussidi
prodotti da mamme inconsistenti e padri nulli
libertà è
scelta e si può scegliere anche la prigione
-come
scorrono i suoi giorni, come guida, come ama-
stanza
musicale chiara di colori senza sottoscale
e doni sopra
il pianoforte ormai scordato
nei
ripostigli si accendono rappresaglie contro i despoti
ma le cose
durano di più di una tirannia
e per la
legge dei ricorsi sanno che torneranno a splendere
noi
chiudiamo porte con le croci per fermare i morti
e li
piangiamo sperando, almeno di sognarli
tra una luna
piena e l’altra inconsueta
-vogliamo
bere qualcosa, poeta-
#2
le corde
tese dietro la finestra mi portano lontano
verso i
corrimano provvisori di vecchie balconate
o nei
raggiri imprudenti delle raffinerie
-ricordi il
tempo delle mimose morte tra i libri consumati
era un
fermare il bacio, la spinta del rifiuto involontario
acceso dalla
voglia di toccarsi anche senza mani-
gira veloce
il giorno bruciato dalla smania
di masticare
meglio i passi del mattino
sotto
l’odore delle scampagnate
il tuo caffè
scorretto dietro l’ora appena prima del silenzio
quando solo
il frigo col suo ronzio simmetrico
scandiva il
senso dell’essere presente
#3
la signora
del vino me ne fa assaggiare sempre
un mezzo
bicchiere prima di versarlo
-sa che lo
prenderò comunque- ma lei attende
che la stima
si riempia prima della bottiglia
il coro
solito di voci aiuta lo scorrere degli anni
un
quadernetto con dentro tutti i nomi
scivola tra
le facce ed il vallone
che porta
via le risorse dei ricordi
-e come sta
Rinuzza-
che strano a
sentirlo, così la chiamava il nonno
più di
cinquant’anni fa
#4
sembra che
si cerchino parole per impressionare i muri
sembra che
si voglia dare tono al silenzio chiuso nelle casse
dell’antico
senso del discutere ogni cosa lontana dalla perfezione
certi giorni
hanno tracciato vette come rampe per un lancio
verso cieli
amaranto dove ruotano boccagli salvavita
altri,
abissi senza strisce gialle attorno al bordo
cosa c’è per
cena
niente
ripieno di menzogne e un po’ di zafferano
#5
la polvere
non sembra infastidita dalla luce
anzi ci
gioca e disegna probabili giostre
per la
memoria assuefatta al silenzio
che musica
può esserci nella sua mente
mentre balla
da sola un ritmo inconsueto
i fianchi
non decifrano ciò che le mani afferrano
-da qui ti
amo- disperdo verso gli angoli assorbenti
tanto non
ascolterebbe, anche senza cuffie
il grido è
solo un lento scorrere di fiato
appena speso
e guai a chi preme il tasto
ché a
parlare d’amore ti perdi il passo
e mi stringo
il collo ormai troppo Modigliani
-perché di
lei, di ieri non so più nulla-
#6
cipolla e
pomodoro spezzano le vene mentre ripassi
sulle
impronte di tutte quelle notti eppure inquiete
col tetto
stampato dietro le palpebre senza più importanza
anche il
rumore (un tempo suono) va pian piano in prescrizione
cade in
quella parte logica che chiamiamo istinto
e con
nessuna restrizione si dibatte nel soffritto
che c’entra
adesso questa variante nel cortile
dove gli
ulivi erano corona e contraltare
adesso
confine per narrare le distanze
nessuna voce
nel vocabolario che indichi altro vuoto
nessun segno
che identifichi questa strana assenza
solo gli
schizzi dell’olio sulla mano
tra la
padella e il cuore
#7
secondo il
rituale dovrei bruciare queste ali degradate
dalle
incurie e dai pregiudizi e costruirmene di nuove
ma chissà se
mi allontanerebbero troppo da questo silenzio che amo
perché pieno
di sostanze che trattengono il franare di questa casa
persino la
ciotola dei croccantini ha corde robuste
e
basterebbero i vinili del signor Cohen per incollarmi alla poltrona
-ricordi, a
occhi chiusi, come ci guardavamo, sicuri?-
c’era la
somma dei meno sulla scrivania
ma non
superavano un solo più di un giorno qualsiasi
e metterei
sul fuoco la crostata se avessi ancora mani
per decidere
che farmene di me
#8 mi piacerebbe parlare con Darwin
ricordo la
sensazione di fresco quando oziavo sotto l’albero
comunque
attento ai predatori
quando la
mia compagna allattava i due cuccioli
altri amici
-non li ho più rivisti- stavano nelle vicinanze…
(tu eri
madre innanzitutto con gli occhi socchiusi mentre i piccoli ti giocavano
addosso ed eri bella con tutti quei peli… sotto l’acacia)
poi
cominciammo a darci nomi e numeri, a tracciare impronte
ad
imbrattare muri a vincere l’acqua e la paura e ci vestimmo
infine con
tutte quelle macchinette addomesticate attorno
non allatti
più che ti scenderebbe il seno
ti meravigli
della zampa materna di Ottavia sotto il gelso
e mi parli
di cose che non capisco a fondo:
-amore mio-
mi dici
#.9
non c’è più
gas nella bombola
stasera più
del solito sarà fredda
quante volte
morivo ogni giorno
se con lei
avevo il paradiso nelle mani
quando nel
seme del sorriso vedevo i campi
concimarsi
d’amore e fioriture senza tempo
preparerò
quel dolce che tanto ammanta
di calore le
pareti e fuori dalla porta, magari
sentirò
bussare
#10
ho messo su
le tende nuove
e il
davanzale è ben pulito
quanti anni
e quante porte
lasciate
appena schiuse a un cielo
pieno di
cotoni
#11
anche se
m’incamminavo nel silenzio
c’era sempre
un minimo fossato
e il fianco
vedeva la montagna
un po’ di
lato
ecco perché
la stanza rimaneva la certezza
con un
girasole sul davanzale
seguivamo i ritorni degli stormi
e le
nuvolette di riguardo andare via
dietro lo
sguardo di uno specchio
ormai accusa
l’odore del
caffè, unica indulgenza
della stanza
vuota
#12
immagino
vorrai uscire da queste mura
che non
rispondono più
e immagino,
vorrai sentire se esiste ancora
un là fuori
utile senza ragnatele
o tovaglie
macchiate di sugo
sbiadito dal
silenzio
l’impegno
perde la giusta distanza
e si
annacqua verso l’orizzonte
guarda poeta
quegli esplicitogrammi
come portati
dal mare
sul lato
medio di questa tua terra
dov’eri
mentre mi indicavi a Baarìa
#13
che importa
se le tue gambe non erano bellissime
mentre mi
parlavi del basilico e di come genera nei sensi
il verso
fresco del mattino e che importa del resto
se eri bella
proprio il contrario di questa assenza
sotto la
finestra, seduta, cosce in aria
come sapevi
piaceva a me
tutti i
sogni tra le dita e nel cassetto solo pane da macinare
una tivvù
che spiegava a nessuno il superfluo di alcuni peli
e sul
calendario, in rosso, il compleanno di Ottavia
si, eri
davvero bella quando entusiasta mi mostravi
i germogli
di lenticchia
#14
restava
tutto immobile al passaggio delle fionde
mentre si
cercavano aperture più eleganti
germinazioni
anomale fino all’osso
accettate
per assenza d’altro perché
di realmente
vero rimaneva niente
e con che
inganno l’aria ci rattristava
per l’arrivo
imminente di una nube giocattolo
andavano e
venivano i colori della vicinanza
sempre più
andavano lasciando solo
muffe sulle
labbra e piatti sporchi
nel lavabo
poi un
silenzio di metallo
prese
decisioni proprie
e non
ascoltammo più…
(altre
parole…)
Nessun commento:
Posta un commento