venerdì 22 giugno 2018

della stanza vuota (1989)


#1


-di lei non so più nulla- era una stanza che mi coccolava
il sogno indietro che spingeva la memoria
quando dall’alto nessun sole mi reggeva il passo

c’è una costante sensazione che parte da tutte le pareti
in contrasto con gli aneddoti sulle libertà
liberamente tratti dall’esperienza degli artisti
penso alle stupide interviste che intrappolano la mente
ai sussidi prodotti da mamme inconsistenti e padri nulli
libertà è scelta e si può scegliere anche la prigione

-come scorrono i suoi giorni, come guida, come ama-
stanza musicale chiara di colori senza sottoscale
e doni sopra il pianoforte ormai scordato

nei ripostigli si accendono rappresaglie contro i despoti
ma le cose durano di più di una tirannia
e per la legge dei ricorsi sanno che torneranno a splendere
noi chiudiamo porte con le croci per fermare i morti
e li piangiamo sperando, almeno di sognarli
tra una luna piena e l’altra inconsueta
-vogliamo bere qualcosa, poeta-


#2


le corde tese dietro la finestra mi portano lontano
verso i corrimano provvisori di vecchie balconate
o nei raggiri imprudenti delle raffinerie

-ricordi il tempo delle mimose morte tra i libri consumati
era un fermare il bacio, la spinta del rifiuto involontario
acceso dalla voglia di toccarsi anche senza mani-

gira veloce il giorno bruciato dalla smania
di masticare meglio i passi del mattino
sotto l’odore delle scampagnate

il tuo caffè scorretto dietro l’ora appena prima del silenzio
quando solo il frigo col suo ronzio simmetrico
scandiva il senso dell’essere presente


#3


la signora del vino me ne fa assaggiare sempre
un mezzo bicchiere prima di versarlo
-sa che lo prenderò comunque- ma lei attende
che la stima si riempia prima della bottiglia
il coro solito di voci aiuta lo scorrere degli anni
un quadernetto con dentro tutti i nomi
scivola tra le facce ed il vallone
che porta via le risorse dei ricordi

-e come sta Rinuzza-
che strano a sentirlo, così la chiamava il nonno
più di cinquant’anni fa


#4


sembra che si cerchino parole per impressionare i muri
sembra che si voglia dare tono al silenzio chiuso nelle casse
dell’antico senso del discutere ogni cosa lontana dalla perfezione

certi giorni hanno tracciato vette come rampe per un lancio
verso cieli amaranto dove ruotano boccagli salvavita
altri, abissi senza strisce gialle attorno al bordo

cosa c’è per cena
niente ripieno di menzogne e un po’ di zafferano


#5


la polvere non sembra infastidita dalla luce
anzi ci gioca e disegna probabili giostre
per la memoria assuefatta al silenzio

che musica può esserci nella sua mente
mentre balla da sola un ritmo inconsueto
i fianchi non decifrano ciò che le mani afferrano

-da qui ti amo- disperdo verso gli angoli assorbenti
tanto non ascolterebbe, anche senza cuffie
il grido è solo un lento scorrere di fiato

appena speso e guai a chi preme il tasto
ché a parlare d’amore ti perdi il passo
e mi stringo il collo ormai troppo Modigliani

-perché di lei, di ieri non so più nulla-


#6


cipolla e pomodoro spezzano le vene mentre ripassi
sulle impronte di tutte quelle notti eppure inquiete
col tetto stampato dietro le palpebre senza più importanza

anche il rumore (un tempo suono) va pian piano in prescrizione
cade in quella parte logica che chiamiamo istinto
e con nessuna restrizione si dibatte nel soffritto

che c’entra adesso questa variante nel cortile
dove gli ulivi erano corona e contraltare
adesso confine per narrare le distanze

nessuna voce nel vocabolario che indichi altro vuoto
nessun segno che identifichi questa strana assenza
solo gli schizzi dell’olio sulla mano

tra la padella e il cuore


#7


secondo il rituale dovrei bruciare queste ali degradate
dalle incurie e dai pregiudizi e costruirmene di nuove
ma chissà se mi allontanerebbero troppo da questo silenzio che amo
perché pieno di sostanze che trattengono il franare di questa casa

persino la ciotola dei croccantini ha corde robuste
e basterebbero i vinili del signor Cohen per incollarmi alla poltrona
-ricordi, a occhi chiusi, come ci guardavamo, sicuri?-

c’era la somma dei meno sulla scrivania
ma non superavano un solo più di un giorno qualsiasi
e metterei sul fuoco la crostata se avessi ancora mani
per decidere che farmene di me


#8   mi piacerebbe parlare con Darwin


ricordo la sensazione di fresco quando oziavo sotto l’albero
comunque attento ai predatori
quando la mia compagna allattava i due cuccioli
altri amici -non li ho più rivisti- stavano nelle vicinanze…

(tu eri madre innanzitutto con gli occhi socchiusi mentre i piccoli ti giocavano addosso ed eri bella con tutti quei peli… sotto l’acacia)

poi cominciammo a darci nomi e numeri, a tracciare impronte
ad imbrattare muri a vincere l’acqua e la paura e ci vestimmo
infine con tutte quelle macchinette addomesticate attorno
non allatti più che ti scenderebbe il seno
ti meravigli della zampa materna di Ottavia sotto il gelso
e mi parli di cose che non capisco a fondo:
-amore mio- mi dici

  
#.9


non c’è più
 gas nella bombola
stasera più del solito sarà fredda

quante volte morivo ogni giorno
se con lei avevo il paradiso nelle mani
quando nel seme del sorriso vedevo i campi
concimarsi d’amore e fioriture senza tempo

preparerò quel dolce che tanto ammanta
di calore le pareti e fuori dalla porta, magari
sentirò bussare


#10


ho messo su le tende nuove
e il davanzale è ben pulito

quanti anni e quante porte
lasciate appena schiuse a un cielo
pieno di cotoni


#11


anche se m’incamminavo nel silenzio
c’era sempre un minimo fossato
e il fianco vedeva la montagna
un po’ di lato
ecco perché la stanza rimaneva la certezza

con un girasole sul davanzale
seguivamo  i ritorni degli stormi
e le nuvolette di riguardo andare via
dietro lo sguardo di uno specchio
ormai accusa

l’odore del caffè, unica indulgenza
della stanza vuota


#12


immagino vorrai uscire da queste mura
che non rispondono più
e immagino, vorrai sentire se esiste ancora
un là fuori utile senza ragnatele
o tovaglie macchiate di sugo
sbiadito dal silenzio

l’impegno perde la giusta distanza
e si annacqua verso l’orizzonte
guarda poeta quegli esplicitogrammi
come portati dal mare
sul lato medio di questa tua terra

dov’eri mentre mi indicavi a Baarìa


#13


che importa se le tue gambe non erano bellissime
mentre mi parlavi del basilico e di come genera nei sensi
il verso fresco del mattino e che importa del resto
se eri bella proprio il contrario di questa assenza

sotto la finestra, seduta, cosce  in aria
come sapevi piaceva a me

tutti i sogni tra le dita e nel cassetto solo pane da macinare
una tivvù che spiegava a nessuno il superfluo di alcuni peli
e sul calendario, in rosso, il compleanno di Ottavia
si, eri davvero bella quando entusiasta mi mostravi
i germogli di lenticchia


#14


restava tutto immobile al passaggio delle fionde
mentre si cercavano aperture più eleganti

germinazioni anomale fino all’osso
accettate per assenza d’altro perché
di realmente vero rimaneva niente
e con che inganno l’aria ci rattristava
per l’arrivo imminente di una nube giocattolo

andavano e venivano i colori della vicinanza
sempre più andavano lasciando solo
muffe sulle labbra e piatti sporchi
nel lavabo

poi un silenzio di metallo
prese decisioni proprie
e non ascoltammo più…

(altre parole…)


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